Aree Interne: il punto di vista di Maurizio Carta

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Aree Interne: il punto di vista di Maurizio Carta

Quello sulle aree interne siciliane è un lavoro costante. Sono tante le implicazioni sociali, economiche, culturali e tante le potenzialità inespresse di questi territori su cui Roberto Lagalla e Idea Sicilia stanno lavorando. Una lunga conversazione con Maurizio Carta, presidente della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo, aiuta a chiarire lo scenario regionale e le strategie su cui lavorare.

“Il primo passo potrebbe innanzitutto essere quello di mappare con cura le aree interne della Sicilia – spiega Carta – alla ricerca di tracce di innovazione, di esperimenti di sviluppo locale, di scintille di creatività, partendo da alcune pratiche di grande interesse. Fra gli esempi i più virtuosi c’è sicuramente quello delle Madonie, con la lunga sperimentazione di un modello insediativo sociale ed economico di tipo policentrico, avviato prima ancora che venisse lanciata la Strategia Nazionale per le Aree Interne. Si tratta di un sistema territoriale dove tutti i Comuni creano una grande rete urbano-rurale e ciascuno si specializza in particolari funzioni, garantendo e migliorando la connessione e la mobilità. Questa è una fra le esperienze di sistema più importanti, poiché la lunga durata permette di valutare esiti concreti e criticità, più recentemente qualche altra sperimentazione hanno iniziato a farla i Comuni del Val di Noto, riconosciuti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, ma non arrivando ai livelli di solidità teorica e pratica delle Madonie.
Poi ci sono le tante iniziative di successo che oggi formano in Sicilia una potente costellazione di innovazione locale, come il FARM Cultural Park di Favara che è oggi una delle iniziative più longeve e ormai un paradigma della rigenerazione urbana e umana, tutto il sistema della rigenerazione delle cave di Mazara del Vallo portato avanti dagli straordinari ragazzi di Periferica. Alcuni esperimenti li stanno facendo i Comuni del Belice, Salemi, Menfi, Poggioreale, Gibellina, etc., sulla scia del modello delle Madonie. Già il fatto di avere costituito la Rete Museale Belicina testimonia la volontà di collegare i beni culturali e la necessità di lavorare a sistema per la loro valorizzazione. Anche Aliminusa, Cianciana, Gangi, Sambuca di Sicilia, Petralia Sottana hanno avviato iniziative sperimentali di sviluppo basato sulle risorse locali e sul concetto di “comune imprenditivo” Qualche altra iniziativa si annovera nel territorio dei Sicani, intorno a Bivona, segnalando in particolare le esperienze legate all’insediamento del Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina, dell’Università degli Studi di Palermo, un motore di sviluppo locale sostenibile fondato sulle risorse culturali e sull’efficienza energetica da fonti rinnovabili.

Esistono però molte aree della Sicilia ancora vergini, che avrebbero bisogno di azioni strategiche per valorizzare le risorse naturali, paesaggistiche e culturali.

Una di queste è sicuramente l’area del nisseno, che dovrebbe cominciare a ragionare in termini relazionali, guardano alle zone costiere del Tirreno, alle zone dell’agrigentino e dell’ennese, per fare diventare la sua centralità geografica una centralità di senso e di sviluppo, oltre che economica. Una dorsale centrale di territori intermedi che possa fungere da cerniera tra la Sicilia occidentale e quella orientale, intercettando flussi esistenti e stimolandone altri attraverso un’offerta di produzioni e servizi.
E poi quella dei Nebrodi. Si tratta di un territorio straordinario, unico, ma con un difficile rapporto tra montagna e mare, uno di quei luoghi della Sicilia che deve iniziare a pensare di non poter stare dentro il perimetro di una città metropolitana, come quella di Messina, ma identificarsi in un sistema ad arcipelago. I Nebrodi, secondo me, hanno una grande occasione, quella di ripensare ai Comuni più interni o di mezza costa come sistemi insediativi in cui sperimentare forme di case-albergo, di residenza stagionale di lungo periodo, luoghi in cui si può tornare a mettere insieme agricoltura di qualità e produzioni locali. Ci sono tanti elementi per trasformare questi territori in luoghi da cui non si scappa ma in cui si resta, perché c’è una naturale economia territoriale, anche grazie alla presenza di piccoli centri urbani di grandissimo interesse.
E poi ci sono gli arcipelaghi insulari, le Eolie, le Egadi, le Pelagie, che hanno bisogno di essere ripensati e al momento presentano le stesse fragilità delle aree interne. Ad esempio, le Isole Eolie, dal punto di vista culturale, turistico e vulcanologico, sono di grande interesse eppure vanno avanti con un turismo che non è certamente di qualità, spesso eroditore della loro bellezza, alla spasmodica ricerca di siti da fotografare piuttosto che di luoghi da abitare.

Non più aree interne come periferie ma come nuovi centri, nuovi punti strategici per una rinnovata economia della cultura.

Per me è prioritario smettere di parlare di “aree interne”, perché questa visione è figlia di un modello che guardava in modo esclusivo alle città capoluogo e alla costa come motori di sviluppo e che guarda a tutto il resto come periferia, con un atteggiamento un po’ paternalista. Oggi è invece necessario modificare la percezione sociale dei territori montani e agricoli, delle aree costiere non urbane, dei paesaggi rurali, rinnovando la struttura economica e la dinamica demografica di questi territori, grazie anche ad alcune intuizioni degli anni ’60 e ’70, che guardavano alle aree interne come zone rilevanti per il nostro sviluppo. La Sicilia aveva intuito la direzione giusta – il “mare interno” lo chiamava Carlo Doglio – ma poi è arrivata l’industrializzazione selvaggia e miope e si è ritenuto che queste zone potessero essere spopolate a vantaggio dei grandi attrattori urbani industriali, imitando un modello industriale inadatto alla Sicilia.
Oggi si può pensare ad una radicale trasformazione del modello di sviluppo siciliano in modo sostenibile, con interventi capaci di generare risorse. Pensiamo, ad esempio, a tutto il settore delle energie da fonti rinnovabili, che nei territori interni trova più facilmente spazio e possibilità di sperimentare nuove forme di riqualificazione ambientale, ma anche di recupero di edifici storici e di nuovi modelli agricoli, si pensi alla grande opportunità del ciclo integrato delle biomasse, oggi di grande interesse per ripensare una economia circolare per i territori rurali.

Recuperare i centri urbani significa creare le condizioni affinché sia conveniente rimanere in quei luoghi e sia possibile generare nuovi flussi insediativi.

Dal punto di vista burocratico bisogna cercare di creare maggiori incentivi, facilitazioni e nuove strategie. Ad esempio, una potrebbe essere quella di far diventare una politica regionale la vendita di case a 1 euro, portata sino ad oggi avanti per iniziativa di singoli Comuni, fra cui Salemi, Gangi, Favara e ora Menfi. È chiaro che la riqualificazione, e il conseguente interesse all’investimento in recupero edilizio, si compie solo se le persone tornano ad abitare i centri storici, se si riattiva un ciclo di vita alternativo alla grade città. E poi ci sono i borghi della riforma agraria, del periodo fascista, luoghi di una bellezza incommensurabile che potrebbero diventare delle piccole comunità autosufficienti, luoghi sperimentali per nuove forme di socialità, mini-città connesse ai grandi centri grazie anche alla banda larga.

Questi borghi potrebbero essere rivalutati grazie all’attraversamento di piste ciclabili: un altro possibile indotto economico da non sottovalutare.

A proposito di turismo ciclabile, ci sono tante iniziative di successo, in Italia – si pensi a Vento, la ciclovia del Po – come in Europa, e da poco anche in Sicilia, e l’UE dispone di grossi finanziamenti a riguardo. La nostra Regione può essere facilmente attraversata da reti ciclabili, ad esempio utilizzando le ferrovie dismesse e le vecchie strade provinciali. Questo permetterebbe di far attraversare borghi solitamente lontani dalle classiche mete turistiche, generando nuove dinamiche economiche in zone di grande interesse paesaggistico e non solo. Si tratta di iniziative non solo eticamente corrette ma soprattutto economicamente, è infatti dimostrabile come queste azioni abbiano, potenzialmente, un moltiplicatore dello sviluppo molto ampio, basta guardare alle numerose esperienze europee già in atto da anni, soprattutto in Germania.

Il tema dell’economia della cultura è oggi molto importante, è quello su cui dovrebbe puntare la Sicilia, in maniera intelligente e sistemica, con un preciso piano di sviluppo dei territori.

La Sicilia da troppo tempo non esplicita il suo naturale modello di sviluppo, ci sono documenti pieni di obiettivi e azioni, di misure e di risorse economiche, ma dove tutto questo atterri, dove è opportuno che si svolgano le iniziative non viene mai definito, come se fosse indifferente. Invece c’è differenza tra spendere soldi e investire risorse, perché se determinate azioni regionali si realizzano nei luoghi giusti allora stiamo investendo risorse che saranno generatrici di nuove economie, se invece realizziamo anche una buona azione di riqualificazione in un luogo inadatto, allora stiamo solo spendendo dei soldi senza nessun ritorno. Spesso alimentando conflitti con altre iniziative, con altre vocazioni. Da questo punto di vista la Regione va ridisegnata completamente, redigendo un piano-programma di sviluppo a partire dal territorio, dalle sue identità e dalle sue comunità”.

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